Fraternizzare con il nemico

Durante la Prima guerra mondiale, cedere il rancio e fare da scudo ai compagni con il proprio corpo furono gesti di cura frequenti nei riguardi dei propri commilitoni, dettati dal desiderio di tutelare la dignità della vita offesa dalla guerra e di esorcizzare la morte. La medesima attenzione diretta al nemico assunse un forte carattere anti-bellico, una dimensione politica.

Riconoscersi

Una volta che il soldato “sepolto” nell’opposta trincea venne riconosciuto come un proprio simile si registrarono forme inedite di iniziative nonviolente e, questo, nonostante la propaganda di guerra lavorasse alla costruzione del nemico quale essere mostruoso da annientare.

I soldati compresero ben presto che non uccidere era l’unico modo per non morire, di qui la scelta di ridurre al minimo gli episodi di combattimento e di assumere come metro delle proprie azioni la tutela della vita propria e altrui.

Gli episodi di fraternizzazione non furono mai estemporanei, tanto sul Fronte orientale dove non mancarono sin dalle prime settimane di guerra forme di interazione tra i soldati austro-ungarici e i russi, quanto sul Fronte occidentale dove a partire dal novembre 1914 si stabilirono rapporti solidali tra britannici e tedeschi ed anche tra tedeschi e francesi, benché in questo caso le relazioni fossero più tese.

Buon vicinato

L’interazione pacifica e spesso amichevole fra parti contrapposte avvenne gradualmente, favorita dall’immobilità delle trincee: i militi ebbero modo e tempo per riconoscersi come vicini di casa ed adoperarsi per mantenere rapporti di buon vicinato. Le principali iniziative intraprese sono riconducibili a forme di passiva inattività, come la decisione di non sparare e di non controllare  i movimenti che avvenivano sul lato opposto per trarne vantaggio strategico.

Erano vere e proprie tregue, spesso di breve durata, ma comunque ritualizzate e rispondenti ai bisogni quotidiani dei soldati. Si registravano, infatti, in caso di maltempo, permettendo così ai militari di stare al riparo, oppure per consentire il recupero dei feriti e la sepoltura dei caduti. Con il passare del tempo si concretizzarono anche forme di interazione più dirette: dai saluti di cortesia si passò allo scambio di battute sul campionato di calcio, all’ascolto serale della musica, alle visite.

Natale 1914

Gli appelli per il cessate il fuoco lanciati dalle organizzazioni internazionali, socialiste e suffragiste furono numerosi, nonché la richiesta ufficiale del papa Benedetto XV di porre fine all’inutile strage che stava insanguinando l’Europa, ma per quel Natale la guerra non sarebbe finita e nessuno sarebbe tornato a casa, contrariamente a quanto promesso dai rispettivi governi. Fu così che i soldati si presero il tempo per festeggiare.

A prendere l’iniziativa pare siano stati i soldati tedeschi, i quali disposero delle candele sui bordi delle trincee e intonarono canti natalizi, a cui risposero i britannici con i propri. Man mano uscirono allo scoperto, si fecero gli auguri e in alcuni punti della terra di nessuno si incontrarono per scambiarsi piccoli doni, tabacco, sigarette.

La stampa americana, in particolare The New York Times, sin dall’ultima settimana di dicembre, diffuse la notizia di quanto avvenuto il giorno di Natale sul Fronte occidentale, mentre da gennaio 1915 apparvero sui giornali britannici le prime immagini della tregua. I giornali tedeschi, al contrario, criticarono aspramente l’avvenimento, mentre la censura sulla stampa impedì che la notizia della tregua arrivasse all’opinione pubblica francese. L’episodio è stato rievocato nel 2005 dal film Joyeux Noël del regista Christian Carion.

Disobbedire alla disumanizzazione

Gli alti comandi condannarono l’accaduto consci della sua pericolosità. Iniziative del genere evidenziavano chiaramente che il sentimento bellico non era stato interiorizzato dai soldati, i quali nel corso della guerra continuarono a ritagliarsi spazi di disobbedienza opponendo alla logica disumanizzante della guerra strategie tali da non perdere la propria dignità di essere umani. Per questa ragione, tutte le forme di fraternizzazione furono perseguitate sistematicamente con condanne esemplari e, in alcuni casi, anche con la morte. E, tuttavia, non cessarono.

L’interazione solidale tra i militi di opposti fronti era fatta di consuetudini e riti tesi a risparmiare il sangue, anche durante i combattimenti quando si faceva in modo di sparare senza colpire. Il contenimento della violenza da parte dei soldati raggiunse livelli tali da dover smobilitare interi reparti. Quando questo avveniva i militari smobilitati si affrettavano ad informare i “vicini”, utilizzando rodati canali di comunicazione ovvero messaggi nascosti dentro bombe disinnescate o arrotolati intorno ad una pietra, affinché non inviassero i consueti segnali con il rischio di cadere nelle imboscate dei nuovi arrivati.

La non-cooperazione è resistenza nonviolenta

Di tregue spontanee e fraternizzazioni ancora oggi si parla poco, per nulla o quasi nei libri di testo, e quando accade esse vengono sempre messe in relazione alla storia della guerra come se fossero parte di una strategia militare. Eppure, è l’esatto contrario. Si tratta, infatti, di iniziative di non-cooperazione attuate dai militari nel tentativo di riprendere in mano la propria vita, dando la possibilità al nemico di fare lo stesso.  Sono, pertanto, da considerarsi azioni di resistenza nonviolenta al potere.

Non-eroi, 2 – Continua