Away from a war zone

Bringing a pet away from a war zone is not an easy task and it is generally very expensive. Nowadays there are associations specializing in making it possible (e.g. Nowzad). These associations are concerned about retrieving animals, nursing them, re-training them if necessary, and arranging their transfer to new homes.

At the end of the Great War, most of the enlisted animals were abandoned to their fate. This was the case for dogs and cats, while survived cattle and equines were sold to slaughterhouses closer to the front lines.

British soldiers on the Western front acted in a different way. Many succeeded, with the help of associations such as the Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals and the Blue Cross Society, to save dogs, often even horses, and bring them to England.

A journey of mutual salvation

Soldiers paid about £ 2 and associations took care to recovering animals, nursing them, transporting them to the veterinary hospital in Boulogne (the only one authorized) after the quarantine period and arranging their transfer over the English Channel.

When the frightened and hungry animals made their appearance, a journey of mutual salvation began.

The soldiers, who decided to take care of them, regained a kind of normalcy, which helped them cope better with the stress of the battlefield. The benefits received from this experience extended far beyond the meal and shelter offered to their four-legged companions, so by doing their best to give them a better life, the soldiers sought to express their gratitude to them.

(Gli animali nella Grande Guerra, Animals in the Great War, 5 – Conclusione)

Cavalli di guerra

Abstract: Horses played a primary military role and the price they paid was enormous. Sensitive, shy and delicate, their presence in human wars goes back to 2000-1000 BC, when it is believed cavalry was born. Ever since, and at least until the First World War, these noble equines have always been present in armies and have been adapted to the technological tools that have gradually been developed by the science of war, whether attaching small barrows to the horses to move pieces of artillery, or teaching them to maintain their position under fire and amidst the sound of explosives. The Great War became an appalling slaughter. They died in the hundreds on the battlefields during infantry charges and as a result of the hazards of war in the trenches, where they were exposed to enemy machine-guns, asphyxiating gases and metal entanglements. However, before they even got that far countless animals died crossing the ocean, when they were packed on to vessels coming from the United States, Canada and Australia, sent to Europe to replace those that had fallen in the allied infantry divisions on the Western Front. The experience of horses at the front has generally been neglected in historical accounts that, by assimilating it with that of the military corps they belonged to actually covered it up. However, their presence is mentioned in the soldiers’ letters and diaries as well as in literature. The most vivid condemnation of the atrocious and futile slaughter of millions of horses is to be found on some of the pages of the heartbreaking novel All Quiet on the Western Front by the writer-soldier Erich M. Remarque.

Fino all’ultimo cavallo

Nell’agosto del 1914 Guglielmo II, annunciando l’inizio della guerra contro i paesi dell’Intesa, sostenne che i tedeschi avrebbero combattuto

fino all’ultimo soldato, fino all’ultimo cavallo

La Grande Guerra fu, in effetti, l’ultima guerra di cavalleria e la confisca dei cavalli da parte delle autorità militari è da considerarsi il primo atto di guerra rivolto a questi animali.

I cavalli impiegati nel conflitto furono circa 12.000.000. Arruolati al pari dei soldati, gli Imperi centrali poterono contare quasi esclusivamente sui cavalli allevati in centro Europa, in particolare in Ungheria e Cecoslovacchia, e dopo i primi combattimenti, quando i reparti a cavallo furono decimati, non furono in grado di rimpiazzarli con animali idonei; gli alleati dell’Intesa, al contrario,  poterono contare sul continuo rifornimento di cavalli provenienti dal Canada, dagli Stati Uniti e dall’Australia.

La vita al fronte

L’aspettativa di vita al fronte per questi animali estremamente sensibili non superava i dieci giorni. Accanto alle decimazioni seguite agli attacchi della fanteria a cavallo, essi furono vittime delle insidie della guerra di trincea, esposti alle mitragliatrici nemici, ai gas asfissianti e ai reticolati metallici. Inoltre, con il protrarsi del conflitto e l’immobilità dei fronti, la loro funzione militare venne ridotta alle retrovie, alle mansioni di trasferimento dei soldati e dei pezzi di artiglieria, oltre che del rifornimento. La riduzione di operatività ne rese le condizioni di vita pessime, a cominciare dalle scarse quantità di cibo, spesso marcio, e di acqua, generalmente inquinata.

Ad aggravare questa situazione si aggiunse, poi, la violenza dei commilitoni, i quali arrivarono a dover macellare gli animali più deboli per garantirsi il proprio sostentamento. Non migliore fu la sorte dei pochi reduci, che alla fine della guerra furono venduti ai mattatoi in prossimità delle aree di smobilitazione.

Warrior

I sopravvissuti furono pochissimi e solo qualcuno ebbe la fortuna di invecchiare e morire serenamente molti anni dopo la fine del conflitto. È il caso di Warrior, il cavallo del generale britannico John Seely operativo con il suo reggimento in Francia, morto nel 1941 all’età di 33 anni.

La sua storia catturò l’attenzione dello scrittore Michael Morpurgo, il quale vi si ispirò per creare il protagonista del romanzo War Horse (Opac Sbn) pubblicato nel 1982 in cui la voce narrante è quella del cavallo di guerra Joey.

Il romanzo di Morpurgo ha ispirato l’omonimo film di Steven Spielberg uscito nel 2011. Mentre nel 2014 Warrior è stato insignito della PDSA* Dickin Medal, un riconoscimento conferito agli animali che si sono distinti in guerra.

(*People’s Dispensary for Sick Animals)

Credits immagini (nell’ordine): Italiani catturati seppelliscono i cavalli giacenti per strada, 1917 ©ÖNB, Europeana Collection 1914-1918; Cavalli refrattari ©IWM (Q 33569); Uomini e cavalli dell’Army Service Corps (ASC) sottoposti ad una esercitazione anti-gas, da qualche parte nel Regno Unito, probabilmente Aldershot ©IWM (Q 34105).

(Gli animali nella Grande Guerra, Animals in the Great War, 4 – Continua)

Stubby, un sergente americano sul Fronte occidentale

Abstract: In the First World War around 100,000 dogs were recruited, but it is likely that the figure of their mobilisation was higher, in view of the fact that studies have not yet been able to establish the true number of animals on the front. The figure is, however, undoubtedly substantial, although not completely unheard of. In actual fact, dogs are known to have taken part in earlier wars, when they were given an auxiliary role with the purpose of the light transport of ammunition, medicine, food supplies, water, post and delivering orders. What was new in the early years of the war was the new strategic role, one that was indispensable to military operations, that these animals were given, despite the significant technical-scientific investments that had been made by all the forces. In the early months of the war a sort of canine conscription was established in diverse European countries on a “voluntary” basis: the owners were asked to present their dogs for military examinations and if they were found suitable, they were requisitioned and the owners were issued a document of enrolment. The most popular breeds for military tasks were the classical retriever dogs, especially the Rottweiler, German shepherd, terrier and robust cross-breeds of medium size. Numerous Maremma sheep dogs were used in the Italian army. After receiving specific training, they were used in recognition operations to verify whether anything had been sabotaged along the telephone lines, as well as in retrieving the injured and fallen in “no man’s land.” They were often sent behind enemy lines to retrieve information. Unlike the extraordinary undertakings in which they were the protagonists, only very few became heroes. Stubby was one of them.

Un ruolo strategico

La Prima guerra mondiale arruolò all’incirca 100.000 cani, ma è presumibile che i numeri della loro mobilitazione fossero superiori, considerando che gli studi non sono ancora in grado di stabilire i numeri certi della presenza animale al fronte. Si trattò in ogni caso di una presenza ingente, per quanto non del tutto inedita. Il loro impiego bellico si era registrato, infatti, anche nelle guerre precedenti, quando i cani ebbero un ruolo ausiliario finalizzato ai trasporti leggeri di munizioni, medicinali, viveri, acqua, posta e alla consegna degli ordini. Ad essere inedito nei primi anni del conflitto fu il nuovo ruolo strategico, indispensabile alle operazioni militari, che questi animali si trovarono a ricoprire, nonostante l’elevato investimento di carattere tecnico-scientifico messo in campo da tutti gli schieramenti.

Arruolati come militari

L’importanza e l’utilità dei cani al fronte si fece evidente sin dai primi mesi del conflitto, tanto che tutti i paesi coinvolti e, soprattutto, quelli dell’Intesa iniziarono una corsa all’arruolamento del maggior numero possibile di cani per sopperire al deficit accumulato rispetto all’avversario germanico, che all’inizio delle ostilità poteva già contare su un contingente di 6.000 cani. Le razze predilette per lo svolgimento dei compiti militari erano quelle classiche da riporto, in particolare rottweiler, pastore tedesco, terrier e meticci robusti di media taglia. A supporto dell’esercito italiano vennero impiegati numerosi pastori maremmani.

Arruolati come i militari e appositamente addestrati, i cani furono utilizzati nelle operazioni di ricognizione, per verificare che non vi fossero stati sabotaggi lungo le linee telefoniche, oltre che in quelle di recupero dei feriti e dei caduti nella “terra di nessuno”. Spesso venivano mandati oltre le linee nemiche per raccogliere informazioni. Nelle zone particolarmente impervie, come ad esempio le Alpi, venivano utilizzati per trasportare armi e trainare le lettighe dei feriti. La maggior parte di loro morì sul campo. Molti vennero soppressi, perché gravemente feriti. Tra quanti sopravvissero furono selezionati i primi cani-guida per i ciechi di guerra. Solo alcuni divennero degli eroi pluridecorati. Stubby fu uno di questi.

Stubby, sergente di fanteria

Membro del 102° reggimento di fanteria dell’esercito americano, Stubby seguì il suo compagno umano, il caporale Robert Conroy, dal Connecticut alle trincee della Francia, dove prestò servizio per 18 mesi. Partecipò a diverse battaglie riportando numerose ferite, ma ogni volta dopo il periodo di convalescenza tornò in prima linea, guadagnandosi molte decorazione ed encomi. Per l’apporto dato alla cattura di una spia tedesca, fu insignito del grado di sergente.

Tale era la sua popolarità che quando gli americani entrarono a Château-Thierry, le donne della città realizzarono per Stubby il giubbotto su cui furono appese le sue numerose medaglie.

Un eroe nazionale

Tornato negli Stati Uniti divenne una leggenda nazionale, seguendo il suo padrone negli incontri pubblici dedicati alla guerra. Morì di vecchiaia nel 1926. Il suo corpo imbalsamato con addosso il giubbotto con le decorazioni è esposto al National Museum of American History a Washington DC.

Credits immagini (nell’ordine): Cane messaggero con il cilindro, in cui il messaggio veniva trasportato, Etaples, 28 Agosto 1918 ©IWM (Q 9277); Carro da guerra per lampade elettriche trainato da cani, Dorimbergo, Fronte dell’Isonzo, 1916 ca ©ÖNB, Europeana Collections 1914-1918; Stubby, l’eroe di Georgetown.

(Gli animali nella Grande Guerra, Animals in the Great War, 3 – Continua)

Ginger (o Sandy), un gatto di guerra

Abstract: Numerous cats were also loaded onto military ships. Both soldiers and sailors regarded their presence as a good omen, a sort of four-legged talisman that was able to protect humans. It was usual for soldiers to take their cats with them, for example during the long ocean crossings that brought the Australian armies to Europe. And many cats were also adopted in foreign countries, along the front where battles were being fought. It is estimated that during the conflict there were around 500,000 cats in the trenches and on the warships. Their official task was to hunt mice and stop infestations of other vermin or parasites, although they were actually used to detect toxic gases. However, these military duties did not exclude they were adopted as mascots or as pets, and as such, they helped keep the soldiers’ morale high. Looking after the animals, which gave a semblance of normality, had the advantage of distracting the soldiers from the everyday aspects of war, which would otherwise have been unbearable.

Gatti al fronte, detective e talismani

Durante la Prima guerra mondiale furono circa 500.000 i gatti presenti al fronte, nelle trincee e sulle navi di guerra.

Il loro compito ufficiale era quello di dare la caccia ai topi, benché alcuni fossero utilizzati per rilevare i gas venefici. I doveri militari non ne esclusero la possibilità di essere adottati in qualità di mascotte e animali di compagnia.

I soldati e i marinai, infatti, consideravano la loro presenza e vicinanza di buon auspicio, una sorta di porta fortuna a quattro zampe in grado di proteggere gli umani. Era consuetudine per i militari portare con loro i gatti, ad esempio nelle lunghe traversate oceaniche che condussero le armate australiane in Europa. E tanti furono i gatti adottati nei paesi stranieri, lungo i fronti dove si trovarono a combattere.

Credits immagini (nell’ordine): ‘Ginger’ o ‘Sandy’ uno dei gatti della nave militare britannica Repulse disteso in un’amaca improvvisata ©IWM (HU 99090); Un soldato canadese con ‘Tabby’, la mascotte della sua unità, Salisbury Plain (Gran Bretagna) 27 Settembre 1914 ©IWM (Q 53254).

(Gli animali nella Grande Guerra, Animals in the Great War, 2 – Continua)

Piccioni viaggiatori nella Grande Guerra

Abstract: During the First World War the function of pigeons was strategic. Although communications systems such as the cablegram, telegraph and telephone were used, they were used to send messages and carry out espionage operations. The pigeons were fast, resilient and in their own way really intrepid. They flew at a speed of 40 km/h and were able to cover distances of up to 100 km without a break. They bore messages of vital importance and, as they showed during the battle of La Marne in 1914, always returned to their dovecots, even if the latter had been moved in the meanwhile. They were believed to be so strategic that it was forbidden to capture them for food, and any injured birds were rescued, and if possible treated.

Una presenza strategica

I piccioni arruolati nella Grande Guerra furono circa 200.000, la maggioranza dei quali morta sul campo. Essi erano considerati alla stregua di un’arma segreta e, come tutte le armi segrete, venivano contrastati da armi altrettanto letali, in questo caso cecchini appositamente addestrati per fermarne il volo.

Nelle prime fasi della guerra si cercò di fare affidamento soprattutto sui nuovi mezzi di comunicazione (telefono, telegrafo, cablogramma, radio), ritenendo il servizio dei piccioni viaggiatori necessario solo in caso di assedio. Ben presto, però, ci si rese conto che il loro utilizzo poteva essere non soltanto utile, ma persino più affidabile nelle comunicazioni tra le linee e il quartier generale. Le telecomunicazioni e la radio erano, infatti, oggetto di sabotaggio e intercettazioni e, quindi, spesso inutilizzabili, mentre i piccioni, salvo in caso di ferimento grave o abbattimento, non si fermavano finché non raggiungevano la loro destinazione, consegnando il messaggio loro affidato.

Veloci e impavidi

I piccioni erano veloci, resistenti e, a loro modo, davvero impavidi. Volavano ad una velocità di 40km/h ed erano in grado di percorre fino a 100km senza sosta. Oltre che nel recapitare i messaggi, potevano essere impiegati in operazioni di spionaggio mediante piccole fotocamere posizionate sul loro petto che, grazie ad un timer di autoscatto, registravano le immagini durante il volo.

La loro funzione militare fu di tale importanza da introdurre misure precauzionali per la loro salvaguardia, dall’accudimento all’adeguata alimentazione, dal divieto assoluto di cattura a scopo alimentare alle misure di protezione antigas.

Gli esemplari feriti venivano soccorsi e, se possibile, curati dal personale sanitario o veterinario, quando era presente.

Nella guerra, in cui per la prima volta si fece un utilizzo su larga scala delle telecomunicazioni, le più importanti operazioni belliche furono condotte servendosi di piccioni viaggiatori.

Credits immagini (nell’ordine):  Piccioni di ritorno alla propria colombaia, Pernes, 1918 ©IWM (Q 9000); Pilota britannico rilasciando un piccione ©IWM (Q 13613); Apparecchio fotografico in miniatura da posizionare sotto il ventre dei piccioni viaggiatori, ©Bnf, Europeana Collections 1914-1918; Scatola anti-gas per 15 piccioni viaggiatori, Trento, ©ÖNB, Europeana Collections 1914-1918.

(Gli animali nella Grande Guerra, Animals in the Great War, 1 – Continua)